
Ogni fumatore ha una pipa in particolare, che venera come una dea; ce n’è comunque una varietà universalmente riconosciuta con il nome poetico di “dea bianca”: è la pipa in schiuma di mare. Suggestiva per le sculture che in genere ne caratterizzano le forme estetiche, piace anche ai non fumatori, che vengono attratti dalle vetrine che espongono queste pipe bianche, e spesso le comprano come oggetto da regalo per chi fuma, o per arredamento. Le pipe in schiuma non si bruciano e il tabacco viene degustato nei suoi aromi originari, visto che non c’è commistione con l’aroma della radica bruciata.
Scavata in grossi blocchi in Turchia e Tanzania, la schiuma di mare è una pietra leggerissima composta da silicato idrato di magnesio, o sepiolite. Gli studiosi non sono certi della sua origine, ma si presume che l’acqua calcarea dei fiumi abbia eroso i sassi magnesiaci e depositato il fango sul fondo, e che, in seguito, gli sconvolgimenti geologici abbiano sprofondato i depositi alluvionali; il peso delle masse tettoniche sovrastanti avrebbe quindi completato l’opera, pressandoli in blocchi.
La schiuma di mare migliore, più compatta, è quella turca; quella della Tanzania è invece più friabile e non ha la stessa resa di fumata. Inoltre, non ha neanche quel colore bianco splendente che caratterizza i blocchi turchi. La Turchia, dunque, per proteggere i giacimenti di questo materiale prezioso e i produttori di pipe locali, ha emesso un divieto di esportazione del materiale grezzo, sebbene accada che la normativa sia spesso disattesa. Comunque, alcuni produttori europei la eludono legalmente acquistando la schiuma in Turchia e lavorandola parzialmente in loco, per poi esportarla in Austria o Svizzera o Francia, dove poi viene effettuata la finitura. I produttori di pipe locali sono pochi, ma alcuni sono dei veri scultori.
La lavorazione delle pipe in schiuma di mare si ottiene dal tornio, dapprima tagliando i blocchi nella giusta dimensione e ammorbidendoli in acqua e poi, ancora umidi, tornendo e forando le teste, cui spesso vengono applicati ornamenti ed opere di intaglio. In passato esse venivano intinte nel bianco di balena, mentre oggi nella cera bianca schiarita. Non devono rimanere bianche, però; il loro valore collezionistico aumenta se assumono un bel colore ambrato, poi rosa, poi marrone scuro: quest’ultimo è segno di antichità della pipa, infatti per ottenere i cambiamenti di colore la pipa deve aver fumato centinaia di volte. Per ottenere il bel colore ambrato i testi raccomandano di fumare cautamente, le prime volte, così da evitare l’effetto sgradevole del surriscaldamento e del conseguente deposito di condensato del fumo sul fondo, che potrebbe impedire per sempre la colorazione uniforme. In passato io stessa ho visto fumare pipe di schiuma in guanti bianchi: si diceva infatti che le impronte digitali macchiassero il fornello. Tesi più recenti consentono invece di stringere la pipa in mano, perché ciò permetterebbe sia di tenere costantemente sotto controllo la temperatura (se la testa scotta, rallentando le tirate, ovviamente), sia di contribuire a una distribuzione del calore uniforme, in modo da ottenere il colore ambrato tanto agognato.
Per la realizzazione di pipe poco costose si utilizza la schiuma pressata: pezzi di schiuma tenuti insieme sia dal legante che dalla pressione. Un’altra qualità di schiuma, di qualità non elevata, si ottiene inoltre da pezzi di schiuma macinati in poltiglia e bolliti con acqua, silicato di potassio e sali di potassio. Nonostante la fragilità del materiale, che deve essere manipolato con le opportune cautele, sebbene sia spesso tenuto in contenitori di pelle che ne seguono fedelmente le forme, e già questi sono oggetti gradevolissimi, è bello ed opportuno che un paio di pipe di schiuma siano presenti sempre nel parco pipe di ogni fumatore di pipa.
Eva Vannicelli
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